ANTEEGO - GOFFFREDO FOFI

ADDIO A GOFFREDO FOFI, VOCE LUCIDA E LIBERA DELLA CULTURA ITALIANA

Ci lascia un pensatore fuori dal coro, capace di orientare generazioni con rigore, passione civile e sguardo critico. La Fondazione Anteego è anche figlia del suo insegnamento.

Suole-di-vento-Pesoli
FOTO

Da oggi, 11 luglio 2025, non potremo più ascoltare la voce di Goffredo Fofi. Non leggeremo più il suo pensiero su un fatto sociale o politico, su un film appena uscito o su un classico del cinema riletto con occhi nuovi. Non avremo più le sue letture di un romanzo, le sue recensioni puntuali, le sue riflessioni sempre ancorate alla realtà e alla responsabilità collettiva. Goffredo Fofi è morto. Aveva 88 anni. Un’età che avevo forse rimosso, non volevo nemmeno saperlo. Perché per me, e per molti altri, Fofi è stato un riferimento costante. Vivo, presente, necessario.

Una scoperta decisiva

Ho conosciuto Goffredo Fofi grazie a un amico, Rodolfo Sacchettini, che all’università mi regalò un numero della rivista Lo Straniero, su cui già scriveva pur essendo molto giovane. Ricordo bene la scritta in copertina: “Arte, Cultura, Scienza, Società”. In altre parole: il mondo. Un mondo che quella rivista provava a raccontare in modo radicalmente diverso.

Il mio primo pensiero sfogliando quelle pagine fu: “Qui bisogna impegnarsi, e tanto”. Non avevo un grande passato da lettore alle spalle, eppure capii subito che lì non era richiesta nessuna “patente” da intellettuale. Bastavano la curiosità, la voglia di capire, una predisposizione al pensiero critico. E l’onestà di mettersi in discussione.

Un pensiero fuori da ogni appartenenza

Lo Straniero (e poi Gli Asini, e prima ancora tutte le riviste fondate da Fofi) era un luogo di pensiero che rifuggiva ogni appartenenza, ogni ideologia sterile, ogni semplificazione. Una grafica sobria, pagine dense, nessuna concessione alla distrazione o all’intrattenimento. La “società” era la lente che f iltrava tutto: arte, scienza, educazione, letteratura.

Per anni non ho più smesso di leggere le sue riviste, i suoi articoli, i suoi libri. Grazie a Fofi ho scoperto scrittori italiani e stranieri, pensatori del passato e autori contemporanei, ma soprattutto una postura intellettuale: quella che lega il pensiero all’azione. L’educazione come impegno civico, l’intellettualità come servizio.

Un’eredità che ci impegna

L’esperienza e l’insegnamento di Goffredo Fofi sono entrati in ogni cosa che ho fatto in questi anni. Anche, e soprattutto, nella nascita della Fondazione Anteego. Un’idea nata per custodire e portare nel futuro la tradizione culturale e civile che Fofi ha rappresentato. Un modo per trasformare il pensiero in pratiche coerenti, utili, condivise.

Perché l’impegno culturale non è un esercizio solitario: è una responsabilità collettiva. È un’alleanza tra generazioni. E in questo senso, il lavoro con i giovani è la sfida più importante che ci attende.

Grazie, Goffredo Fofi

Per averci insegnato che la cultura non è mai neutra, e che capire è già un primo passo per cambiare.

[Autore Francesco Lombardi, Fondatore e Presidente della Fondazione Anteego]

Jean_Paul_Laurens_Castellion

ARS DUBITANDI: UN ANTIDOTO CONTRO LA TECNOCRAZIA DELLE IDEE

Fondamento e strumento di autonomia sociale, l’esercizio del dubbio è il primo passo verso una libertà condivisa

Unknown

Il termine Ars dubitandi, l’arte del dubbio, emerge in tutta la sua prorompente modernità nel XVI secolo, quando Sebastiano Castellione, umanista, pedagogo e teologo savoiardo, decide di opporsi al predominio che la Chiesa Cattolica esercitava sulla morale, soprattutto grazie al potente strumento della confessione.

Castellione e l’esercizio del dubbio

Contro un modello teologico rigido e intollerante nei confronti del dissenso, Castellione propose un sistematico esercizio del dubbio per rivitalizzare la coscienza individuale, rifiutando anzittutto l’idea che per ‘difendere una dottrina’ si dovesse arrivare a uccidere chi non la condividesse. La condanna a morte di Michele Serveto è infatti un forte stimolo che lo porterà a scrivere un libello polemico insieme ad altri eretici. 

Dubbio e ragione sono i fondamenti di un metodo volto a sconfessare la tirannia e le atrocità di un dogmatismo religioso che non risparmiava nessun dissidente dal rogo. Mettendo in discussione gli assunti principali della dottrina cattolica, il teologo savoiardo aprirà così con i suoi più strenui sostenitori un conflitto che diventerà insanabile ma foriero di grandi svolte storiche e conquiste sociali. 

Oggi ricordiamo Castellione come formidabile antesignano della tolleranza e della libertà religiosa. Una rivoluzione che è stata possibile solo attraverso un deliberato e quanto mai coraggioso esercizio del dubbio, e che fanno di Castellione un precursore del pensiero critico e divergente. Un precursore, potremmo dire, della dissonanza.

 

Non contano solo la tecnica e la performance

Educare al pensiero critico significa insegnare a dubitare. Questo è più che mai necessario in una società che viaggia a tutta velocità verso sempre nuovi traguardi tecnologici, proponendo una visione del mondo incentrata sul mito dell’efficienza e dell’innovazione a priori.

L’egemonia culturale esercitata dalle nuove tecnologie ha portato a un conformismo che ha fatto della tecnica il fine ultimo di ogni operosità umana. Vittima di questo sistema è soprattutto la scuola, schiacciata dalla travolgente ondata di iper-tecnicizzazione e in bilico tra politiche sempre meno disposte a destinare fondi, in uno status quo che pare inamovibile.

Non tutto, però, può essere relegato alla conoscenza della tecnica: non abbiamo bisogno solamente di operatori iper-specializzati in grado di utilizzare al meglio i potenti mezzi della techne, ma di individui capaci di pensare autonomamente e riflettere sulle implicazioni etiche di quello stesso utilizzo. Quando l’imperativo è performare, e cioè usare al meglio le tecnologie di cui disponiamo ormai in ogni ambito, diventa cruciale imparare a porsi delle domande.

E la prima domanda che dobbiamo porci è proprio questa: qual è il valore della tecnica nella società della performance? È davvero auspicabile che l’apprendimento e l’educazione si riducano a fornire un sapere nozionistico fine a se stesso poiché messo in ombra da una crescente domanda dell’utile (con tutto che questa utilità andrebbe prima definita)?

La storia delle società umane si è sempre sviluppata nei margini dell’innovazione tecnologica, ma alla base di essa non può mancare una visione d’insieme, una capacità di mettere le cose in prospettiva per decidere quale sia il futuro che vogliamo creare. Se non impariamo a coltivare questa disposizione squisitamente umana saremo sempre e solo schiavi delle nostre stesse creazioni.

Se l’intelligenza artificiale sa rispondere, l’intelligenza umana deve saper domandare

L’importanza di dubitare e di porsi sempre nuovi interrogativi è sottolineata anche da Andrea Prencipe e Massimo Sideri nel libro Il Visconte Cibernetico in cui, rifacendosi al metodo letterario di Italo Calvino, riflettono sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa sul sistema del sapere.

Secondo i due autori, di fronte a strumenti come ChatGPT, che riescono a fornire (a una velocità sorprendente) risposte sempre più precise, è cruciale sviluppare un nuovo approccio in merito alla formulazione delle domande. Solo l’atto di domandare, infatti, rimane uno dei ‘più gelosi attributi della mente umana’, tanto più in una società che verte sull’automatismo di ogni incrocio tra domanda e offerta.

Per orientarsi in questa giungla di algoritmi, dove tutto sembra già deciso a tavolino da mani invisibili, bisogna saper distillare la verità e, non di meno, il buon gusto, saper individuare ciò che valga la pena d’esser detto. Non accettare quindi supinamente il flusso di informazioni a cui veniamo costantemente esposti, ma imparare a riconoscere qualcosa che abbia davvero valore per la nostra esperienza e vita culturale.

Un simile traguardo è perseguibile soltanto attraverso un’educazione che, senza farsi a priori nemica della tecnica, punti a sviluppare autentiche competenze umanistiche e sociali. Un’educazione basata sull’azione partecipativa e sul dubbio inteso come antidoto indispensabile contro la tecnicizzazione del sapere, dell’immaginazione e del vivere quotidiano.Un manifesto culturale e civile

[L’articolo è stato realizzato in collaborazione con il Laboratorio di Scrittura sul web, Scienze Umanistiche per la comunicazione, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2024/2025. Autore Michelangelo Casto]

Mockup Dolci

ECCO ANTEEGO! UN EVENTO SOSTENIBILE CHE METTE AL CENTRO LA CULTURA

Il 25 maggio alla Stazione Leopolda di Firenze prende vita il lancio della
Fondazione Anteego: una serata tra musica, installazioni e un allestimento
che ripensa radicalmente il modo di fare cultura, partendo dall’upcycling
e dalla sostenibilità.

Non un semplice evento, ma un atto fondativo. Non una celebrazione patinata, ma un’esperienza che mette in discussione le forme, le consuetudini e gli sprechi.

L’evento, in programma domenica 25 maggio presso lo Spazio Alcatraz della Stazione Leopolda di Firenze, è il debutto della Fondazione Anteego, pensato come dichiarazione d’intenti e come viaggio collettivo attraverso nuove visioni della cultura, della formazione, della progettazione e dell’identità.

Un nuovo modo di pensare l’evento culturale

Il cuore dell’evento è l’idea che anche un allestimento possa farsi racconto. Il progetto nasce dal rifiuto dei format convenzionali e dall’abbraccio di una logica trasformativa e partecipata. Il tema dell’upcycling guida la configurazione dello spazio, pensato non come una scenografia perfetta ma come cantiere aperto: un ambiente che mostra le sue imperfezioni e ne fa un valore.

Il risultato? Un evento che anziché rincorrere la spettacolarità, propone una bellezza diversa: quella della coerenza, del senso, della trasformazione consapevole.

Per partecipare all’evento è possibile iscriversi a questo link di eventbrite.

Il design come atto narrativo

L’allestimento dell’evento è a cura di Studio OPAA, con la direzione creativa di Filippo Maria Bianchi, artista visivo e designer la cui poetica
attraversa linguaggi diversi, dalle installazioni immersive ai video, dal cinema alla progettazione spaziale. Bianchi rilegge l’upcycling in chiave estetica e narrativa, recuperando materiali dismessi (provenienti da fiere, mostre, contesti effimeri) trasformandoli in dispositivi carichi di senso.

Forme, cromie, pattern e grammatiche visive sono ripensati per costruire uno spazio imperfetto ma vivo, che riflette l’identità della Fondazione stessa: aperta, in trasformazione, pronta ad accogliere ciò che altrove viene ignorato.

Elementi di recupero provenienti da vecchie fiere e installazioni, trasformati e rielaborati, costruendo una scenografia che sconfina dal ready-made all’objet trouvé, fino a raggiungere un design radicale e consapevole. Nulla è lasciato al caso: ogni oggetto, ogni superficie, è un pezzo di racconto che ha cambiato funzione, significato e contesto. È una riflessione concreta e potente sul valore delle cose che altri considerano scarti.

Tre installazioni per raccontare l’identità della Fondazione

All’interno dello spazio trovano posto tre installazioni immersive e simboliche, realizzate da Pepperoni Studio, con contenuti a cura del direttore creativo Andrea Gnesutta. Ognuna esplora un tema chiave del progetto Anteego:

AlterEGO – Un’installazione immersiva che riflette sul tema dell’identità attraverso un dispositivo semplice ma potente: caschi specchiati. Da fuori, il visitatore vede se stesso; da dentro, ascolta le voci di figure chiave del pensiero civile italiano (Morante, Dolci, Olivetti, Lodi) che hanno ispirato la visione di Anteego. Un viaggio audio che trasforma lo sguardo in ascolto, stimolando introspezione e consapevolezza.


MultiEgo – Un’installazione visiva costruita con pannelli in PVC rosso e materiali traslucidi, che si rivela solo attraverso un filtro. Citazioni, messaggi e frammenti emergono a chi accetta di cambiare letteralmente il proprio punto di vista. Un invito a leggere tra le righe, a superare l’apparenza e ad abbracciare la complessità. Anche qui il materiale, riciclato e reinterpretato, diventa veicolo di contenuto.


ZONA AnteEGO – Il cuore dello spazio: un padiglione interamente costruito con elementi di recupero, volutamente lasciato ‘in costruzione’. Questo ambiente non finito diventa simbolo della Fondazione stessa, che sceglie di mostrarsi per quello che è: un progetto in crescita, che valorizza il processo tanto quanto il risultato.

Un manifesto culturale e civile

‘Ecco Anteego!’ È il modo della Fondazione per dire che l’appuntamento è molto più di un evento. È una metafora concreta di ciò che la Fondazione vuole essere: un luogo che valorizza ciò che altri considerano scarto, siano essi materiali, persone o idee. È una visione ecologica, sociale e culturale, che rifiuta la spettacolarizzazione e mette al centro la consapevolezza, la sostenibilità e il valore delle differenze.

In un presente che tende a consumare e dimenticare, Anteego propone di ricordare e trasformare.

E lo fa partendo da ciò che già esiste.

Anteego 25 Maggio

IL FUTURO SI IMPARA E SI COSTRUISCE INSIEME: ANTEEGO, FONDAZIONE PLURALE PER L’EDUCAZIONE PERMANENTE

Il 25 maggio alla Stazione Leopolda musica, installazioni e partecipazione collettiva per inaugurare una nuova realtà dedicata alla cultura condivisa e alla formazione civica.

Un debutto tra musica e impegno culturale

Il 25 maggio 2025, lo Spazio Alcatraz della Stazione Leopolda di Firenze si trasformerà in un laboratorio culturale vivo, aperto e sperimentale. Una serata evento segnerà l’inizio del percorso della Fondazione Anteego, un progetto dedicato all’educazione permanente, alla formazione civica e alla cultura della responsabilità collettiva.

Fondazione Anteego nasce per promuovere un’idea innovativa di apprendimento: continuo, accessibile, trasformativo e radicato nel territorio. Un’educazione fondata sulla partecipazione, sul dialogo e sull’esperienza condivisa.

Tre live internazionali per attraversare i confini del suono

A dare forma sonora all’inaugurazione saranno tre progetti musicali capaci di unire generi, culture e sperimentazione. The Mauskovic Dance Band, gruppo musicale olandese rivelazione della scena indie-tropical che fonde afrobeat, dub, psichedelia ed elettronica per un viaggio ritmico cosmopolita. Guidata da Nico Mauskovic producer, polistrumentista e fondatore della band, ha pubblicato con etichette come Soundway, Dekmantel e Bongo Joe.

Populous, al secolo Andrea Mangia, dj e producer salentino noto a livello internazionale per le sue atmosfere che uniscono ritmi sudamericani, elettronica d’autore e world music. Laureato in musicologia e con una grande capacità di anticipare tendenze, ma anche di reinterpretarle, è una figura di spicco della musica elettronica contemporanea.

Ghiaccioli e Branzini, progetto musicale di Marco Dalmasso, dj e producer torinese (Firenze è la sua città di adozione) che fonde musica folk, black jazz, blues e impegno sociale.

La direzione musicale della serata è firmata da Musicastrada, in collaborazione con lo stesso Dalmasso, da anni attivi nella promozione della musica dal vivo in Italia e all’estero.

Un evento in due tempi: tra visione e condivisione

La serata, con la direzione creativa a cura di Pepperoni Studio, si articolerà in due momenti distinti. Dalle 20 alle 22, l’ingresso sarà riservato su invito a rappresentanti istituzionali, stakeholder, operatori del terzo settore e realtà culturali. In questa fase verrà presentata la visione della Fondazione e sarà avviato un processo partecipativo per la scelta del logo ufficiale.

A seguire, dalle 22 in poi, si svolgerà un evento ad invito dedicato ai sostenitori della Fondazione. Per chi volesse partecipare l’iscrizione è possibile tramite questo link ad eventbrite. Per diventare sostenitore basta una donazione libera. La seconda parte dell’evento sarà un happening culturale aperto e coinvolgente, con musica live, convivialità e installazioni interattive.

Installazioni sensoriali per raccontare un’idea di futuro

Gli spazi della Leopolda, ridisegnati da OPAA Studio che ne cura l’allestimento, ospiteranno un percorso immersivo e riflessivo, pensato per comunicare i valori della Fondazione, attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea. AlterEGO, caschi specchiati da cui ascoltare voci e pensieri ispirati ad Aldo Capitini, Danilo Dolci, Adriano Olivetti, Mario Lodi e altre figure chiave del pensiero educativo e sociale. MultiEgo, pannelli traslucidi da esplorare con filtri ottici, che invitano a cambiare punto di vista. Zona Anteego, padiglione simbolico ’in costruzione’ fatto con materiali di recupero, rappresentazione concreta della Fondazione come organismo vivo, imperfetto e in continua evoluzione.

Una Fondazione per l’apprendimento continuo e condiviso

La Fondazione Anteego nasce per costruire un nuovo spazio educativo per adulti, capace di promuovere il sapere come bene comune. Ispirata alla nonviolenza attiva di Capitini, alla pedagogia cooperativa di Lodi, alla cultura democratica di Olivetti e all’educazione popolare di Dolci, Anteego vuole essere un punto di riferimento per chi crede nella conoscenza come strumento di libertà e trasformazione.
L’evento del 25 maggio è solo il primo passo. Nei mesi successivi, la Fondazione definirà la propria struttura giuridica, avvierà i primi progetti formativi e attiverà una rete di partner e sostenitori. 

anteego_circle

IL DISORDINE CHE FA CRESCERE: IL VALORE EDUCATIVO DELLA DISSONANZA

Quando l’armonia si spezza, inizia un interessante percorso di evoluzione e apprendimento.

Viviamo spesso alla ricerca dell’equilibrio, vogliamo coerenza, conferme, armonia: ma la vita reale è piena di contrasti, rotture, ambiguità. È lì che nasce la dissonanza: quel momento in cui le cose non tornano, in cui le parti non si incastrano, in cui sentiamo che qualcosa dentro o fuori di noi è ‘stonato’.

Questa esperienza, che può apparire fastidiosa o destabilizzante, è in realtà una delle forze più potenti che abbiamo per evolvere. La dissonanza non è un errore ma un invito, non è un ostacolo ma una soglia.

Non solo psicologia: la dissonanza come esperienza educativa

Spesso il termine dissonanza viene usato nel linguaggio psicologico (in particolare nella teoria della dissonanza cognitiva elaborata dallo psicologo e sociologo statunitense Leon Festinger nel 1957) ma il suo significato va oltre. Nel contesto educativo, ad esempio, la dissonanza ha un ruolo cruciale. È il momento in cui uno studente si accorge che qualcosa non torna: un concetto sfida la sua visione del mondo, un’idea mette in crisi ciò che pensava di sapere, una domanda apre un vuoto.

È proprio in questi momenti di frizione interiore che si attiva il pensiero. Senza dissonanza, non c’è vera curiosità, senza disagio, non c’è movimento.

Educare non significa colmare, ma provocare

Un’educazione efficace non si limita a trasferire contenuti. Non riempie menti vuote, ma accende fiamme: spesso la scintilla nasce da un attrito.

Per questo, la scuola non dovrebbe temere il conflitto cognitivo, ma costruirci intorno esperienze significative. Proporre più punti di vista, lasciare spazio all’ambiguità, stimolare il confronto e il dubbio: tutto questo non confonde, ma forma. Forma persone capaci di pensare con la propria testa, di mettere in discussione, di cercare alternative.

In questa prospettiva, l’insegnante non è colui che risolve subito ogni tensione, ma chi la valorizza. È un facilitatore di percorsi, un artigiano del dubbio, un accompagnatore nella complessità.

L’aula scolastica come spazio dinamico, non statico

Un’aula viva è quella in cui si può dire ‘non ho capito’, ‘non sono d’accordo’, è quella in cui le verità non sono dogmi, ma ipotesi da esplorare insieme. È quella in cui il sapere si costruisce nel dialogo, nel confronto, anche nella dissonanza.

Favorire questi spazi non significa rinunciare alla chiarezza, ma dare valore al processo. Non si tratta di avere sempre ragione, ma di imparare a cercarla insieme, tra errori, intuizioni e scoperte.

Formare menti elastiche in tempi complessi

Viviamo in un’epoca in cui la complessità non è più un’eccezione, ma la regola. Le informazioni si moltiplicano, i punti di vista si intrecciano, le certezze si incrinano. In questo scenario, la scuola non può limitarsi a fornire risposte pronte: deve insegnare a restare nella domanda.

Formare menti elastiche significa coltivare la capacità di tollerare l’incertezza, di abitare il dubbio, di convivere con la tensione che nasce dal confronto tra idee diverse. Non si tratta solo di trasmettere contenuti, ma di costruire una postura mentale: aperta, critica, riflessiva.

La dissonanza, se accolta con intelligenza, diventa uno strumento potente per allenare questa elasticità. Permette agli studenti di sperimentare la frizione tra ciò che sanno e ciò che stanno imparando, e di trasformare quel fastidio in una spinta alla comprensione profonda.

Un’educazione che non censura il conflitto, ma lo valorizza, prepara individui capaci di affrontare il mondo con flessibilità e consapevolezza.   E   questo,   oggi   più   che   mai,   è   un   atto rivoluzionario ma anche necessario.

Cover Nascita Anteego

EDUCAZIONE, PEDAGOGIA E SCUOLA: NASCE LA FONDAZIONE ANTEEGO

Un progetto per rimettere al centro l’educazione come strumento di liberazione, crescita e responsabilità sociale.

Viviamo in un tempo in cui il mondo dell’educazione sembra spesso oscillare tra due poli: da un lato, l’iper-tecnicizzazione della scuola, che rischia di ridurre l’apprendimento a una sequenza di competenze standardizzate; dall’altro, il progressivo indebolimento della scuola pubblica, sotto pressione per mancanza di risorse, discontinuità politica e crescente disaffezione sociale.
In questo contesto complesso e mutevole nasce la Fondazione Anteego, con l’obiettivo di rimettere al centro dell’educazione l’essere umano, la relazione educativa e il valore trasformativo della conoscenza. Un progetto che prende forma da un’idea forte: l’educazione deve essere un percorso di crescita reciproca, tra maestro ed allievo, tra individuo e comunità.

Pedagogia della libertà: le radici del nostro progetto

La Fondazione Anteego si ispira a quella tradizione pedagogica italiana che ha saputo tenere insieme pensiero e azione. Una tradizione viva, mai solo teorica, che ha trovato voce in figure come Danilo Dolci, Aldo Capitini, Marco Lodi, Goffredo Fofi, pensatori, educatori, attivisti.
La cosiddetta pedagogia libertaria ci insegna che educare non significa riempire teste, ma creare spazi per l’ascolto, la partecipazione, la responsabilità. In questa visione, anche l’insegnante è in cammino, cresce insieme ai suoi studenti e apprende con loro.

Una scuola per cittadini consapevoli

Il nostro intento non è solo formare individui “competenti”, ma persone consapevoli, in grado di agire nel mondo con autonomia, senso critico e rispetto per gli altri e per l’ambiente in cui vivono.
Vogliamo promuovere un’educazione che unisca crescita individuale e crescita collettiva, in un equilibrio che favorisca la convivenza, l’inclusione e la costruzione di relazioni autentiche. La nonviolenza, l’ascolto e la cooperazione (pensiamo ad Aldo Capitini) sono i mattoni su cui vogliamo fondare il nostro percorso educativo.

La Fondazione come laboratorio sociale

La Fondazione Anteego non sarà solo un luogo di riflessione, ma anche e soprattutto di pratica educativa. Avvieremo laboratori, attività, conferenze e momenti formativi che tocchino tutte le dimensioni dell’esperienza: arte, scienza, filosofia, educazione civica, cultura giuridica e competenze tecniche.
Tutte iniziative pensate per aprire spazi di confronto, nutrire il pensiero critico e favorire un’educazione partecipata e democratica. Un’educazione capace di dialogare con il presente, senza rinunciare a una visione forte del futuro.

Verso una scuola nuova, dentro la comunità

Uno degli obiettivi della Fondazione è arrivare alla creazione di una scuola, un luogo fisico in cui queste idee possano incarnarsi. Una scuola privata nella forma, ma pubblica nella sua missione: a servizio della collettività, in dialogo costante con la scuola pubblica, le università e le realtà del territorio.
Una scuola radicata nella comunità, dove le ragazze e i ragazzi possano apprendere in modo attivo e responsabile, sentendosi protagonisti e non semplici destinatari di contenuti.

Formare persone per un lavoro consapevole

Educare non significa solo preparare al lavoro, ma dare strumenti per affrontare con dignità e libertà i cambiamenti della vita, anche quelli professionali. Chi cresce con una solida base educativa e valoriale sarà una persona in grado di reinventarsi, di collaborare, di contribuire allo sviluppo delle imprese e delle comunità. Non ci interessa il lavoro sfruttato o alienato. Ci interessa un mondo del lavoro che valorizzi le persone, e che cresca insieme a loro. Un’economia fondata sulla reciprocità, sulla responsabilità e sulla consapevolezza.

Un invito ad agire insieme

La nascita della Fondazione Anteego è solo l’inizio. Sarà un percorso aperto a chiunque voglia partecipare, contribuire, condividere idee e visioni.
Crediamo in un’educazione che non si limita a istruire, ma che libera e restituisce dignità all’essere umano. Educare significa dare alle persone la libertà di diventare ciò che desiderano essere. E questa è la sfida più grande, ma anche la più bella.
Unisciti a noi. Partecipa alle iniziative. Insieme possiamo immaginare e realizzare un’educazione capace di rispondere alle sfide del presente e preparare un futuro più consapevole.

Raggruppa 48

DANILO DOLCI: “CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO”

Maieutica reciproca, educazione e cambiamento sociale nel segno della nonviolenza

Danilo Dolci è stato una delle figure più luminose del Novecento italiano: intellettuale, poeta, sociologo, pedagogo e attivista. Conosciuto come il “Gandhi della Sicilia”, ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia, l’ingiustizia sociale e l’emarginazione, portando avanti un’idea rivoluzionaria di educazione basata sul dialogo, sull’ascolto e sulla partecipazione attiva.

Uno dei contributi più originali e attuali del suo pensiero è la maieutica reciproca: un metodo educativo che ribalta la logica verticale del sapere e propone una costruzione collettiva della conoscenza. Un metodo che non solo educa, ma trasforma la società.

Chi era Danilo Dolci?

Nato nel 1924 a Sesana, allora territorio italiano oggi in Slovenia, Danilo Dolci studiò architettura ma presto abbandonò ogni ambizione professionale per dedicarsi interamente all’impegno civile. Scelse la Sicilia come terra d’azione, rimanendovi per tutta la vita.

Qui si confrontò con povertà estrema, disoccupazione, analfabetismo e presenza mafiosa. Di fronte a queste realtà, Dolci non si limitò a denunciarle: le affrontò coinvolgendo direttamente le persone, organizzando scioperi della fame, laboratori educativi e azioni nonviolente come il celebre sciopero “al contrario”, per cui fu arrestato.

La radice della maieutica: da Socrate a Dolci

Il termine “maieutica” viene dal greco e significa “arte della levatrice”. È la tecnica usata da Socrate per aiutare i suoi interlocutori a “partorire” la conoscenza che già avevano dentro di sé. Danilo Dolci riprende questo concetto e lo reinterpreta radicalmente, dando vita a un nuovo approccio: la maieutica reciproca.

In questo metodo, non c’è un maestro che guida e un allievo che riceve: tutti partecipano come pari, contribuendo attivamente alla nascita del sapere attraverso il dialogo..

Cos’è la maieutica reciproca?

La maieutica reciproca è un metodo educativo basato sul confronto aperto, sull’ascolto attivo e sulla partecipazione collettiva. L’obiettivo non è “insegnare” ma creare le condizioni perché ciascuno possa esprimere idee, dubbi, esperienze, contribuendo così alla costruzione comune della conoscenza.

I pilastri della maieutica reciproca:

  • Dialogo inclusivo: ogni voce ha valore.
  • Ascolto attivo: si apprende ascoltando davvero gli altri.
  • Conoscenza condivisa: non si trasmettono nozioni, si costruiscono significati.
  • Responsabilità sociale: educare significa anche attivarsi per il bene comune.

Un metodo per trasformare le comunità

Dolci applicò la maieutica reciproca nei luoghi più dimenticati, portandola tra contadini, disoccupati, studenti, bambini. I suoi laboratori erano spazi vivi di riflessione e azione, dove si discutevano i problemi reali delle persone: dalla miseria economica al peso della mafia.

Alcuni esempi di applicazione:

  • Nelle scuole: per stimolare pensiero critico e cooperazione tra pari.
  • Nelle comunità marginalizzate: per costruire soluzioni condivise e rafforzare l’autonomia collettiva.
  • Nella lotta alla mafia: per rompere la cultura del silenzio e promuovere il coraggio civile.

In ogni contesto, la conoscenza non era mai imposta, ma fioriva dal confronto.

L’impatto del metodo

  • Promuove l’autonomia di pensiero.
  • Insegna a condividere responsabilità.
  • Sviluppa consapevolezza sociale e politica.
  • È una risposta attuale al bisogno di cittadinanza attiva e critica.

Dolci ci ha mostrato che educare è un atto politico e poetico insieme. È credere che un altro mondo sia possibile e iniziare a costruirlo, parola dopo parola, persona dopo persona.

“Il profumo delle zagare”: il racconto di una rivoluzione nonviolenta

Per chi volesse scoprire (o riscoprire) la figura di Danilo Dolci, segnaliamo il documentario “Il profumo delle zagare” (Italia, 2022 – 49 min), diretto da Paolo Bianchini. Un viaggio nella sua vita, tra educazione, nonviolenza e attivismo radicale, che racconta la forza di chi ha saputo “essere sognato” da un futuro migliore.

Italia, 2022. 49 min

Istigatore alla rivoluzione nonviolenta, Danilo Dolci lottava per la liberazione dalla mafia, contro l’illegalità, contro lo sfruttamento delle terre, lottava per la condivisione del pensiero libero e l’educazione all’ascolto. Ideò lo sciopero “al contrario” per il quale fu arrestato e processato.

Regia: Paolo Bianchini

goffredo fofi - articolo2

GOFFREDO FOFI: “L’ERRORE È CIÒ CHE NON SI È FATTO.”

Una vita tra educazione, critica culturale e impegno civile, sempre in cerca del senso profondo delle cose

“Non sono un intellettuale brillante, ma uno curioso”, diceva Goffredo Fofi. E in questa affermazione c’è tutta la sua storia: un percorso irregolare, fatto di incontri illuminanti, scelte radicali e una costante tensione tra pensiero e azione. Dall’infanzia contadina in Umbria all’attivismo in Sicilia, dagli scioperi alla FIAT alla passione per il cinema d’autore, Fofi ha attraversato il Novecento come un osservatore critico e partecipe. Non si è mai lasciato ingabbiare da etichette, e ha sempre cercato (nella cultura, nell’educazione e nella politica) una possibilità di trasformazione. Il suo è il racconto di una vita vissuta dalla parte degli ultimi, con lucidità e coerenza.

Radici popolari e vocazione educativa

Goffredo Fofi nasce nel 1937 in Umbria, in una famiglia numerosa di origine contadina. Il padre, bracciante prima e operaio poi, è il simbolo di un’Italia ancora legata alla mezzadria, povera e arcaica. Cresce in un ambiente segnato da disuguaglianze profonde, che gli lascia un’eredità indelebile: una forte sensibilità per le ingiustizie sociali e un bisogno precoce di capire il mondo.

Diventa maestro elementare, e grazie a una borsa di studio della Olivetti, azienda all’avanguardia anche sul piano culturale, si trasferisce a Roma per studiare assistenza sociale. In questo periodo entra in contatto con Danilo Dolci, con cui collabora in Sicilia. A Palermo e Partinico lavora con i bambini e partecipa ai progetti di educazione popolare e sviluppo comunitario. È qui che prende forma la sua idea di cultura come strumento di liberazione collettiva, non come privilegio individuale.

Lo shock di Matera e la possibilità del cambiamento

Alla fine degli anni ’50, Fofi visita Matera, dove i Sassi sono ancora abitati da famiglie in condizioni disumane. L’intervento di Olivetti e le prime politiche di risanamento urbano gli mostrano che il cambiamento è possibile, se sostenuto da visioni concrete. Quell’esperienza sarà per lui un punto di svolta: la cultura deve calarsi nella realtà, ascoltarla, rispondere ai bisogni urgenti.

Torino e la scoperta del movimento operaio

Negli anni ’60 si trasferisce a Torino, cuore pulsante dell’industria italiana e delle lotte operaie. Qui entra in contatto con il gruppo dei Quaderni Rossi guidati da Raniero Panzieri, e partecipa alle grandi mobilitazioni sindacali, come gli scioperi alla FIAT del 1962. È la sua seconda grande rivelazione, dopo la Sicilia: la condizione operaia del Nord rivela nuove forme di alienazione e sfruttamento.

Cresciuto in una famiglia socialista, Fofi entra giovanissimo nel Partito Socialista Italiano, ma dopo la scissione del PSIUP abbandona la militanza partitica, scegliendo una via autonoma, più vicina ai movimenti di base e alle esperienze dirette. L’impegno politico per lui è azione concreta, non ideologia astratta.

Parigi: l’incontro con il pensiero europeo

Il passaggio a Parigi segna un’altra tappa fondamentale. Frequenta corsi con Foucault, Barthes, Lévi-Strauss, e vive da vicino il fermento intellettuale europeo. Celebre l’aneddoto in cui, durante una lezione di LéviStrauss, riesce a lavorare a maglia meglio dei compagni francesi, grazie ai ricordi d’infanzia. La cultura, per Fofi, non è mai disgiunta dall’esperienza personale.

Nel frattempo, scopre il cinema alla Cinémathèque Française: ne nasce una passione che accompagnerà tutta la sua vita. Studia anche la letteratura francese, con particolare attenzione a Balzac, e inizia a elaborare una visione critica della cultura che rifiuta l’accademismo e si nutre di autenticità.

Il ritorno in Italia e il “rimpianto” dell’editoria

Tornato in Italia, Fofi si avvicina al mondo dell’editoria, collaborando con Feltrinelli, Garzanti e numerose riviste. Ma non lo vive mai come una piena realizzazione. La definisce infatti un “errore”: il vero scopo della sua vita sarebbe dovuto essere l’attivismo sociale.

Negli anni tra il 1943 e il 1978, dalla Resistenza all’assassinio di Aldo Moro , l’Italia vive una stagione irripetibile. Fofi la attraversa con consapevolezza, conoscendo personalità straordinarie come Parri, Ada Gobetti, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, con cui intrattiene un rapporto fatto di conflitto e stima. Non smette mai di essere una voce critica, anche verso il mondo della cultura e del cinema.

Letteratura, cinema e spirito barocco

Nel tempo, Fofi approfondisce la cultura spagnola e latinoamericana, sviluppando una predilezione per la letteratura barocca, che considera più vicina alla complessità del reale rispetto al neorealismo. L’influenza di Gadda è determinante: “Il barocco è il mondo”, dice lo scrittore, e Fofi sembra farne il proprio manifesto.

Anche nel cinema, si distingue per uno sguardo affilato e anticonformista. Critico severo ma rispettato, mantiene rapporti sinceri con registi come Fellini, Monicelli e Elio Petri, che accettano le sue critiche con autoironia.

La curiosità come forma di resistenza

Goffredo Fofi si definisce una “mediocrità curiosa”, ma è proprio questa curiosità inesauribile a renderlo una figura unica. Ha vissuto senza mai cercare visibilità, ma con il desiderio profondo di capire e condividere. Anche se rimpiange di non essersi dedicato di più all’educazione e all’attivismo, ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana del secondo Novecento.

La sua vita è stata un esercizio continuo di pensiero critico, dialogo e coerenza morale. E forse l’errore più grande, come suggerisce il titolo di questo articolo, non è quello che si commette, ma ciò che non si è fatto.